HENRI BERGSON

Piazza parigina a lui dedicata
Bergson vinse il Nobel per la letteratura nel 1927. Il suo pensiero dà voce ai postumi dell' ubriacatura positivista. Bergson fornisce quello che un pubblico istruito desidera: una teoria della coscienza che non faccia a pugni con la scienza, ma che valorizzi ciò che ognuno ha di unico ed irripetibile. Durata, memoria, profondità della psiche, ma in un quadro di normalità e non da intervento terapeutico (Freud); l' impostazione é ottimistica, risente ancora dell' onda lunga del Positivismo, ad iniziare dal concetto di 'precisione' che egli applica alla descrizione dell' autocoscienza.
La svolta cosmico-spiritualista de 'L' Evoluzione creatrice' (1907) oggi può sembrare un minestrone condizionato dalle mode dell' epoca (erano gli anni in cui l' antroposofia di Rudolph Steiner raggiungeva il grande pubblico). Comunque Bergson riesce ad armonizzare l' attenzione positivista ai fatti con l' irriducibilità della coscienza a 'cosa', e con una teoria pragmatistica del conoscere affine a Nietzsche e Dewey. La cultura dell' epoca attinge a Bergson piuttosto superficialmente, senza addentrarsi nelle sue complesse analisi. Bergsoniani a vario titolo si autodefinivano Georges Sorel, Marcel Proust, le riviste fiorentine e Gentile, ed oltreoceano William James.
L' opera forse più difficile é 'Materia e memoria' del 1896; Bergson mostra come la percezione pura, isolata dagli apporti della memoria, non esista; la percezione é sempre ritagliata nella realtà, presentando i suoi dati come già integrati alle immagini interne della memoria, che vengono richiamate dal corpo che é la nostra 'interfaccia' col mondo esterno; la percezione é costitutivamente 'non oggettiva', orientata dai bisogni pratici e perciò dotata di senso (Heidegger e Gadamer la chiameranno 'precomprensione').
Questa tesi, presente già in Spinoza, Nietzsche e poi ereditata da tutta la psicologia del '900, seppellisce il mito positivistico che i 'fatti' esistano come tali.
In Bergson la materia viene 's-materializzata' risolvendosi nei diversi livelli della percezione ed i differenti ritmi di durata dell' universo. Bergson approda ad una concezione vibratoria della materia in contiguità con le scoperte della fisica quantistica, contro l' ingenua idea che la materia sia una 'cosa', un insieme di fatti dati. Non siamo lontani da una visione 'continuistica' tra mondo grossolano e sottile che ricorda la complessa teoria che Edward Bach (sì, proprio quello dei fiori di Bach) andava costruendo in quegli anni. D' altronde Einstein dimostrò che materia ed energia sono una stessa realtà che si presenta in forme differenti. Insomma la cultura di quegli anni si muoveva in questa direzione.
Bergson oggi ci può interessare per la sua descrizione della psiche in termini olistici, come sistema straordinariamente complesso da cui emergono l' autocoscienza e l' identità. Il concetto bergsoniano di 'libertà', pure entro ad uno spiritualismo forse datato, é una anticipazione di quella che oggi (vedi Prigogine) definiamo 'complessità'.
Il pensiero di Bergson é un prodotto di spicco di quella 'belle epoque' che sarebbe finita nel dramma della Grande Guerra, la immane doccia gelata il cui cantore é piuttosto l' Esistenzialismo.
La svolta cosmico-spiritualista de 'L' Evoluzione creatrice' (1907) oggi può sembrare un minestrone condizionato dalle mode dell' epoca (erano gli anni in cui l' antroposofia di Rudolph Steiner raggiungeva il grande pubblico). Comunque Bergson riesce ad armonizzare l' attenzione positivista ai fatti con l' irriducibilità della coscienza a 'cosa', e con una teoria pragmatistica del conoscere affine a Nietzsche e Dewey. La cultura dell' epoca attinge a Bergson piuttosto superficialmente, senza addentrarsi nelle sue complesse analisi. Bergsoniani a vario titolo si autodefinivano Georges Sorel, Marcel Proust, le riviste fiorentine e Gentile, ed oltreoceano William James.
L' opera forse più difficile é 'Materia e memoria' del 1896; Bergson mostra come la percezione pura, isolata dagli apporti della memoria, non esista; la percezione é sempre ritagliata nella realtà, presentando i suoi dati come già integrati alle immagini interne della memoria, che vengono richiamate dal corpo che é la nostra 'interfaccia' col mondo esterno; la percezione é costitutivamente 'non oggettiva', orientata dai bisogni pratici e perciò dotata di senso (Heidegger e Gadamer la chiameranno 'precomprensione').
Questa tesi, presente già in Spinoza, Nietzsche e poi ereditata da tutta la psicologia del '900, seppellisce il mito positivistico che i 'fatti' esistano come tali.
In Bergson la materia viene 's-materializzata' risolvendosi nei diversi livelli della percezione ed i differenti ritmi di durata dell' universo. Bergson approda ad una concezione vibratoria della materia in contiguità con le scoperte della fisica quantistica, contro l' ingenua idea che la materia sia una 'cosa', un insieme di fatti dati. Non siamo lontani da una visione 'continuistica' tra mondo grossolano e sottile che ricorda la complessa teoria che Edward Bach (sì, proprio quello dei fiori di Bach) andava costruendo in quegli anni. D' altronde Einstein dimostrò che materia ed energia sono una stessa realtà che si presenta in forme differenti. Insomma la cultura di quegli anni si muoveva in questa direzione.
Bergson oggi ci può interessare per la sua descrizione della psiche in termini olistici, come sistema straordinariamente complesso da cui emergono l' autocoscienza e l' identità. Il concetto bergsoniano di 'libertà', pure entro ad uno spiritualismo forse datato, é una anticipazione di quella che oggi (vedi Prigogine) definiamo 'complessità'.
Il pensiero di Bergson é un prodotto di spicco di quella 'belle epoque' che sarebbe finita nel dramma della Grande Guerra, la immane doccia gelata il cui cantore é piuttosto l' Esistenzialismo.
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